https://www.pupia.tv - Bologna - DAZI. IN EMILIA-R. 1.256 IMPRESE A RISCHIO, BASTA 5% E SALTANO BILANCI
Bologna, 10 apr. - I dazi americani, temporaneamente congelati dal presidente Donald Trump dopo le fibrillazioni in Borsa, rischiano di mandare in fumo 2-2,5 miliardi e mezzo di euro sugli oltre 10,5 miliardi di esportazioni dell'Emilia-Romagna verso gli Stati Uniti. Per alcune aziende, però, rischiano di fare la differenza tra un bilancio in attivo e perdite difficilmente recuperabili. Per Uniocamere Emilia-Romagna le imprese a rischio, perché più esposte alle tariffe in quanto legate a filo doppio con il mercato d'oltreoceano, in regione sono circa 1.256, il 29% di quelle che esportano negli Usa: assommano il 90% dell'export emiliano-romagnolo verso gli Stati Uniti, contribuiscono per la metà al totale delle esportazioni regionali nel mondo, danno lavoro 150.000 persone e realizzano 50 miliardi di euro di fatturato. "Per capire davvero quanto possa essere profondo l'impatto dei dazi bisognerebbe guardare anche a tutte le imprese che ruotano attorno a queste realtà, i fornitori, i subfornitori, i partner di filiera, e non dimenticare le oltre 2.000 aziende emiliano-romagnole che importano dagli Stati Uniti, anch'esse potenzialmente esposte alle conseguenze di nuove barriere commerciali", ammonisce il vicesegretario di Unioncamere, Guido Caselli, autore dello studio 'Dall'America all'officina. Quando il mercato statunitense fa la differenza'. Sono state considerate vulnerabili, con differenti livelli di rischiosità, le imprese per le quali il mercato americano contribuisce per almeno il 5% alla realizzazione del fatturato aziendale complessivo. Non che per le altre aziende l'imposizione dei dazi sia irrilevante: la soglia del 5% è stata scelta per dare evidenza alle società che rischiano di essere fortemente penalizzate dall'applicazione dei dazi. Tra le imprese con esposizione maggiore ci sono 93 delle prime 100 imprese esportatrici. A livello settoriale sono le filiere collegate alla meccanica a presentare i valori di vulnerabilità più elevati: dal 43% delle aziende delle macchine per l'agricoltura fino al 33% dell'automotive. Complessivamente i dazi imposti da Trump peserebbero l'1,6% sul fatturato delle imprese che esportano verso gli Stati Uniti, con una intensità che aumenta al crescere della vulnerabilità. Per 450 imprese il solo dazio vale più del 3% del fatturato, per 69 società pesa più del 10%. Ancora una volta tra le società più penalizzate si trovano molte delle esportatrici di grandi dimensioni. Che fare, dunque? Oltre a cercare di disinnescare la bomba dazi trattando con gli Stati Uniti, secondo il presidente di Unioncamere, Valerio Veronesi, si deve seguire l'esempio della Germania, che ha annunciato un piano di investimenti per innovare il proprio sistema produttivo. "Investire sulla competitività delle aziende vuole semplicemente dire avere macchinari più performanti, formazione per i dipendenti e la volontà di essere tutti a
Bologna, 10 apr. - I dazi americani, temporaneamente congelati dal presidente Donald Trump dopo le fibrillazioni in Borsa, rischiano di mandare in fumo 2-2,5 miliardi e mezzo di euro sugli oltre 10,5 miliardi di esportazioni dell'Emilia-Romagna verso gli Stati Uniti. Per alcune aziende, però, rischiano di fare la differenza tra un bilancio in attivo e perdite difficilmente recuperabili. Per Uniocamere Emilia-Romagna le imprese a rischio, perché più esposte alle tariffe in quanto legate a filo doppio con il mercato d'oltreoceano, in regione sono circa 1.256, il 29% di quelle che esportano negli Usa: assommano il 90% dell'export emiliano-romagnolo verso gli Stati Uniti, contribuiscono per la metà al totale delle esportazioni regionali nel mondo, danno lavoro 150.000 persone e realizzano 50 miliardi di euro di fatturato. "Per capire davvero quanto possa essere profondo l'impatto dei dazi bisognerebbe guardare anche a tutte le imprese che ruotano attorno a queste realtà, i fornitori, i subfornitori, i partner di filiera, e non dimenticare le oltre 2.000 aziende emiliano-romagnole che importano dagli Stati Uniti, anch'esse potenzialmente esposte alle conseguenze di nuove barriere commerciali", ammonisce il vicesegretario di Unioncamere, Guido Caselli, autore dello studio 'Dall'America all'officina. Quando il mercato statunitense fa la differenza'. Sono state considerate vulnerabili, con differenti livelli di rischiosità, le imprese per le quali il mercato americano contribuisce per almeno il 5% alla realizzazione del fatturato aziendale complessivo. Non che per le altre aziende l'imposizione dei dazi sia irrilevante: la soglia del 5% è stata scelta per dare evidenza alle società che rischiano di essere fortemente penalizzate dall'applicazione dei dazi. Tra le imprese con esposizione maggiore ci sono 93 delle prime 100 imprese esportatrici. A livello settoriale sono le filiere collegate alla meccanica a presentare i valori di vulnerabilità più elevati: dal 43% delle aziende delle macchine per l'agricoltura fino al 33% dell'automotive. Complessivamente i dazi imposti da Trump peserebbero l'1,6% sul fatturato delle imprese che esportano verso gli Stati Uniti, con una intensità che aumenta al crescere della vulnerabilità. Per 450 imprese il solo dazio vale più del 3% del fatturato, per 69 società pesa più del 10%. Ancora una volta tra le società più penalizzate si trovano molte delle esportatrici di grandi dimensioni. Che fare, dunque? Oltre a cercare di disinnescare la bomba dazi trattando con gli Stati Uniti, secondo il presidente di Unioncamere, Valerio Veronesi, si deve seguire l'esempio della Germania, che ha annunciato un piano di investimenti per innovare il proprio sistema produttivo. "Investire sulla competitività delle aziende vuole semplicemente dire avere macchinari più performanti, formazione per i dipendenti e la volontà di essere tutti a
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NovitàTrascrizione
00:00Un impatto di un dazio al 25% per noi vale 500 milioni di danaro che ci rientra, ma 10
00:11miliardi e mezzo che perdiamo, quindi è 20 volte, quindi come vedo meno impulsività
00:17e più ragionamento. Dobbiamo in qualche modo sederci a un tavolo per pagare. In questo
00:23giro bisogna che ci sia tutto l'insieme, bisogna che ci siano le banche che chiedano
00:29di poter prestare denaro alle imprese con la garanzia come fu fatto per il Covid e bisogna
00:35che ci sia un nuovo 4.0. Dico apposta 4.0 e non 5.0 perché voglio ricordare che su uno
00:43stanziamento di 6 miliardi ha bevuto, in gergo tecnico, sono stati richiesti solo 500 milioni.
00:49Quindi è necessario che si comprenda che i 25 miliardi che giustamente pare che vogliono
00:56essere dati per le imprese non servono, bastano queste applicazioni e vedrete che così come
01:01dopo il Covid le imprese si rialzeranno. Deve essere sempre una risposta di sistema, voglio
01:05ricordare che la Germania sta rispondendo di sistema, MERS ha detto vogliamo investire
01:12sulla competitività delle nostre aziende, che tradotto vuole semplicemente dire macchinare
01:17più performanti, formazione sui nostri dipendenti e la volontà di essere tutti assieme a superare
01:23questo stacco.